DIDATTICA DELLA RICERCA

Non ho particolari talenti, sono soltanto appassionatamente curioso

Albert Einstein

La mia proposta consiste nel sostituire ai 3, 5 o 10 libri-riassunto, così spesso indigesti, come d’altronde qualsiasi riassunto, una tecnica di lavoro dove il ragazzo tragga il proprio sapere da migliaia di libri, da schede, da dischi, da nastri registrati, per non parlare del grande libro della natura e dell’ambiente sociale a cui attingiamo in fin dei conti le nostre più profonde ricchezze.

Freinet, La scuola del fare

Dove si trova la conoscenza? I bambini di solito cominciano con il dare per scontato che l’insegnante possiede la conoscenza e la trasmette alla classe. Se si creano le condizioni opportune, imparano presto che anche altri componenti della classe potrebbero possedere delle conoscenze, e che queste conoscenze possono essere condivise. (Naturalmente lo sanno fino dall’inizio, ma solo riguardo ad argomenti spiccioli.) In questa seconda fase, la conoscenza esiste nel gruppo, ma in modo inerte.  È possibile allora vedere la discussione di un gruppo come un modo di creare conoscenza, invece che semplicemente come un modo per scoprire chi possiede quali conoscenze?…

Jerome Bruner

La mente non è un vaso da riempire, ma, come la legna da ardere, ha solo bisogno di una scintilla che l’accenda e le dia l’impulso per la ricerca, e un amore ardente per la verità

Plutarco, L’arte di ascoltare

La ricerca di senso

I bambini e le bambine – è esperienza di ogni insegnante di scuola dell’infanzia e primaria – arrivano a scuola spinti da una grande curiosità verso il sapere. Vogliono imparare. Sono interessati a scoprire il mondo che si dischiude piano piano davanti a loro. Eppure la scuola sembra non essere in grado di capitalizzare questo patrimonio di motivazione e, nel corso degli anni, il loro interesse pare affievolirsi sempre più.

Purtroppo, pensiamo che la scuola abbia un ruolo importante in questo processo di perdita di senso. Il sapere somministrato in pillole – spiegazione e lettura sul manuale – tritato, ingurgitato e vomitato durante le interrogazioni, rievoca l’immagine antica dell’imbuto di Norimberga: il cervello del discente riempito di nozioni dall’insegnante onnisciente. Ma la mancanza di un incontro tra i ragazzi e le ragazze reali (Canevaro, 1999), con la loro voglia di conoscere, e l’insegnante altrettanto reale che li ascolti genuinamente e applichi una gestione pedagogica del desiderio (Meirieu, 1990), porta ad un progressivo spegnimento di quella motivazione che inizialmente li accompagnava e che permetterebbe di accettare gli sforzi legati ai processi di apprendimento e di impegnarsi nell’esplorazione della realtà (Nigris, 2005). 

Per insegnare, invece, bisogna emozionare. Ciascun bambino possiede un potenziale fisico e intellettivo unico e irripetibile che va accompagnato e guidato in modo da potersi esprimere liberamente. Il bambino posto in un ambiente stimolante, con materiali idonei alle sue necessità di crescita che stimolino la creatività e la fantasia, vede solleticare le sue abilità cognitive, logiche, fini e grosso- motorie  (Montessori 1909). 

Ecco quindi che il Movimento di Cooperazione Educativa propone un approccio differente alla conoscenza, nel quale il bambino e la bambina sono ricercatori attivi (Rostan, 1949), protagonisti di un processo di costruzione, di elaborazione di schemi mentali e corporei atti a capire davvero le connessioni tra i fenomeni che li circondano; l’insegnante, in una prospettiva progettuale, si fa interprete dei bisogni d’apprendimento, cogliendo i loro interessi nella spontaneità delle relazioni o suscitandoli in modo che emergano, orientando così la ricerca senza guidarla (De Vecchi, 1999); infine  il sapere, oggetto di conoscenza, è concepito “come processo, come svolgimento, come conquista e non come fatto e dato” (Caggio, 1995). 

Non si tratta affatto di una proposta nuova nella storia della pedagogia ma del frutto di pratiche pedagogiche sperimentate (Freinet, 2002) e di ricerche consolidate, che ritrova eco forte nelle Indicazioni Nazionali per il Curricolo: “Fin dai primi anni la scuola promuove un percorso di attività nel quale ogni alunno possa assumere un ruolo attivo nel proprio apprendimento, sviluppare al meglio le inclinazioni, esprimere la curiosità, riconoscere ed intervenire nelle difficoltà, assumere sempre maggiore consapevolezza di sé, avviarsi a costruire un proprio progetto di vita”.

Chiameremo questo modo di fare scuola, che rifiuta il libro di testo come unica fonte di informazione, “didattica della ricerca” e nei paragrafi di questo manifesto proveremo a darne un quadro metodologico, con lo scopo di rendere il processo attuabile al maggior numero di insegnanti e di classi. 

Rapporto tra oggetto del sapere e discipline

L’approccio di ricerca non può prevedere percorsi didattici che corrispondano a un collage di azioni disciplinari collegate, talvolta forzatamente, ad un tema comune (Bordallo, Ginetest, 2000), ma si propone come autentica esplorazione del mondo. Ritroviamo la bussola nelle Indicazioni Nazionali: “Il bisogno di conoscenze degli studenti non si soddisfa con il semplice accumulo di tante informazioni in vari campi, ma solo con il pieno dominio dei singoli ambiti disciplinari e, contemporaneamente, con l’elaborazione delle loro molteplici connessioni”.

Le discipline quindi, in un’ottica di unitarietà dell’esperienza di apprendimento (Morin, 2000), forniscono gli strumenti epistemologici per indagare e interpretare la complessità della realtà che ci circonda, organizzano le informazioni in modo da far emergere i nodi concettuali, facilitano la concettualizzazione tramite l’attribuzione di un lessico specifico, indirizzano l’azione di scoperta, fornendo metodologie di indagine proprie della disciplina stessa. In altri termini, le discipline danno ai bambini e alle bambine che esplorano i fenomeni “le parole per dirlo” (Dolto, 2005). Possiamo anche affermare che l’intuizione emotiva risulta centrale nello sviluppo del pensiero e dei processi cognitivi connessi agli apprendimenti, confermando l’intuizione bioniana della centralità della dimensione affettivo-relazionale per lo sviluppo del pensiero e della “mente per pensare” (Bion, 1962).

“Le discipline, così come noi le conosciamo” – ci dicono ancora le Indicazioni Nazionali – “sono state storicamente separate l’una dall’altra da confini convenzionali che non hanno alcun riscontro con l’unitarietà tipica dei processi di apprendimento”.  

La complessità dell’oggetto indagato può essere attraversata e interpretata con diversi “occhiali disciplinari” (Caggio, 1995). Sta all’insegnante cogliere piste, imprevisti, direzioni feconde che portino ad affrontare nodi concettuali rilevanti, abbandonando invece quelli che appaiono sterili e ripetitivi, per poi riprogettare azioni didattiche che stimolino la problematizzazione, l’approfondimento e infine la sistematizzazione.

Nella didattica della ricerca è importante che l’analisi dell’oggetto del sapere utilizzi, a livelli di formulazione relativi a campi di validità più o meno ampi (De Vecchi 1999), secondo lo sviluppo delle bambine e dei bambini, le metodologie delle discipline: la storia come ricostruzione del passato attraverso l’analisi delle tracce; la scienza come interpretazione dei fenomeni naturali attraverso il metodo sperimentale e la modellizzazione; la geografia come studio del territorio e delle relazioni con le società umane che ospita e che ne modificano il paesaggio. E così via.

Infatti, come ricordano le Indicazioni Nazionali, “i problemi complessi richiedono, per essere esplorati, che i diversi punti di vista disciplinari dialoghino e che si presti attenzione alle zone di confine e di cerniera fra discipline.”  

La progettazione

Progettare un percorso di ricerca è un lavoro complesso che non si espleta tutto in fase iniziale, come può avvenire per un’unità didattica, ma necessita di continui ritorni, rimaneggiamenti, aggiustamenti. Da un lato bisogna prevedere a grandi linee verso quali direzioni potrebbe evolvere il percorso in base ai traguardi di competenza e ai nodi concettuali principali individuati sin dall’inizio (Wiggins e McTighe), dall’altro bisogna lasciare aperta la possibilità di modificare la progettazione valutando continuamente i processi attivati nel gruppo e nei singoli, sapendo che prima o poi interverranno degli “attesi imprevisti” (Perticari, 1996). “I bravi maestri sanno inciampare. Non temono il limite del sapere. La lezione è un rischio ogni volta, ma i bravi maestri non temono la caduta.

(M. Recalcati)

In quest’ottica assume un’importanza notevole la documentazione – che può assumere varie forme dagli appunti di osservazioni estemporanee, alla trascrizione di conversazioni di gruppo, alla videoregistrazione, ecc.- perché permette di rendere visibili i processi dei bambini e di basare sui dati raccolti le scelte progettuali successive. (Balconi, 2020)

È bene pertanto che gli obiettivi didattici siano definiti precisamente, in modo da essere rilevabili e monitorabili ed è bene anche che essi siano condivisi con i ragazzi e le ragazze, cosicché la consapevolezza di essi li aiuti nell’indirizzare i propri sforzi e nell’autovalutare i propri progressi nell’apprendimento (DeVecchi, 2011; Pillonel-Rouiller, 2001).

È altrettanto importante che siano ben chiari all’insegnante i nodi concettuali afferenti alle varie discipline che intende sviscerare con i ragazzi e le ragazze, in modo da poter proporre esperienze didattiche ad hoc finalizzate a suscitare il conflitto cognitivo o socio-cognitivo (Piaget 2000, Doise- Mugny 1986), per scardinare teorie ingenue, attraversare con linguaggi diversi un concetto particolarmente complesso o astratto, sfruttare gli intrecci disciplinari per guardare da punti di vista diversi una stessa realtà.

Ancora una volta troviamo riscontro nelle IINN 2012:

“I docenti, in stretta collaborazione, promuovono attività significative nelle quali gli strumenti e i metodi caratteristici delle discipline si confrontano e si intrecciano tra loro[…].”

Le mappe

Degli strumenti utili, ad insegnanti e alunni, nel rendere evidenti nodi concettuali sia disciplinari che trasversali, sono le mappe, che troppo spesso, secondo approcci metodologici trasmissivi e nozionistici, hanno meramente una funzione riassuntiva e di sintesi di conoscenze e nozioni apprese. 

In un approccio di didattica della ricerca, le mappe possono invece essere utilizzate dagli alunni per registrare in itinere la costruzione del proprio sapere e dagli insegnanti per co-progettare e condividere loro l’intero percorso di apprendimento: mappe generatrici (Orsi, 2006) come strumenti-guida in ogni fase della pratica della ricerca.

Nel momento dell’avvio del percorso, la raccolta delle conoscenze pregresse, delle teorie ingenue, delle domande dei bambini e delle bambine può essere affissa in aula e riorganizzata poi in forma di mappa. In questo modo essa costituisce uno strumento di valorizzazione dell’enciclopedia personale dei ragazzi e delle ragazze e delle loro curiosità, per poi diventare un riferimento concreto per il gruppo per orientarsi nella ricerca, monitorare i passi fatti e pianificare i successivi.

Successivamente, la negoziazione e la costruzione di questo strumento evidenzia graficamente il processo di interrelazione tra i contenuti e le esperienze vissute. Durante la sua continua modifica, si attua una rielaborazione metacognitiva: lavorare per costruirla implica una riflessione sulle conoscenze interiorizzate e una comprensione del proprio percorso di ricerca del sapere. (Bruner, 1992)

Essa è anche un forte motore di motivazione, che vede i bambini protagonisti delle loro scoperte da condividere con il gruppo. Di nuovo, sono le Indicazioni Nazionali a indicare la correttezza di questa impostazione: “la scuola attribuisce grande importanza alla relazione educativa e ai metodi didattici capaci di attivare pienamente le energie e le potenzialità di ogni bambino e ragazzo”.  

La mappa è specchio dell’apprendimento in divenire: è modificabile, aperta, dinamica, evolve in base alle risorse del gruppo-classe, del piccolo gruppo o del singolo. Si contrappone idealmente all’indice del libro di testo che prevede una sequenzialità lineare, statica e precostituita degli apprendimenti e che mal si presta a fornire quelle chiavi di cui parlano di nuovo le Indicazioni Nazionali.

“La scuola fornisce le chiavi per apprendere ad apprendere, per costruire e per trasformare le mappe dei saperi rendendole continuamente coerenti con la rapida e spesso imprevedibile evoluzione delle conoscenze e dei loro oggetti. Si tratta di elaborare gli strumenti di conoscenza necessari per comprendere i contesti naturali, sociali, culturali, antropologici nei quali gli studenti si troveranno a vivere e a operare”. (II.NN.)

Metodologie

La ricerca è un percorso e come tale è ricco di passaggi, talvolta semplici, talvolta complessi, di esperienza e di rielaborazione. Sarà l’insegnante ad estrarre dalla sua valigia pedagogica l’attività che ritiene migliore per superare l’ostacolo, per aggirarlo, per riformularlo.

Talvolta si lavorerà in modo collettivo, attraverso delle esperienze corporee, degli esperimenti, delle modellizzazioni. Si useranno alla bisogna il brainstorming o il dialogo euristico, il laboratorio o l’analisi di testi, il role playing o la drammatizzazione, il cooperative learning o l’attività individuale (AA.VV., 2007; Pontecorvo, Ajello Zucchermaglio, 2007). Ci saranno momenti dedicati al piccolo gruppo cooperativo, per costruire strumenti, elaborare approfondimenti, rielaborare i dati. A volte ci si concentrerà individualmente, scrivendo testi, leggendo i libri della ricca biblioteca di classe, costruita con l’adozione alternativa al libro di testo, esercitando l’osservazione, la riproduzione, l’ascolto. 

La biblioteca di classe si rivela una risorsa fondamentale per la ricerca attiva svolta in piccolo gruppo: i bambini, consultando testi tra loro diversi, hanno la possibilità di rispondere alle loro curiosità conoscitive, di approfondire le loro conoscenze di un argomento, di porsi nuove domande e aprirsi a nuovi percorsi di ricerca. Hanno soprattutto la possibilità di mettere a confronto fonti diverse, opportunità non data dal libro di testo uguale per tutti, vissuto come unica fonte del sapere che offre conoscenze già elaborate, digerite, sintetizzate e schematizzate.

Il lavoro di ricerca su più testi porta all’esigenza di confrontarsi con le scoperte fatte dagli altri gruppi di lavoro ed il confronto con gli altri in cerchio aiuta la costruzione euristica del proprio sapere e sviluppa la capacità di argomentare e negoziare i significati del sapere, in contrapposizione con il libro di testo che “accompagna e appoggia il maestro; consente all’allievo di riguardare, di studiare la lezione, ma il procedimento è sempre lo stesso: non ci si riferisce né si fa affidamento alle esperienze che il ragazzo può compiere. Il docente, da solo, con l’unico aiuto del libro di testo, dispensa la cultura”. (Freinet, 2002)

Tutto questo lavorìo di mani, di corpi e di pensieri aiuta a sviluppare un atteggiamento autonomo, nell’approccio al lavoro di ricerca e costruzione del sapere, quell’imparare ad imparare che è competenza chiave dell’Unione Europea. Attraverso il confronto reciproco e democratico con il quale costruiscono il sapere, i ragazzi intessono anche relazioni autentiche e significative, importanti per la partecipazione attiva alla vita comunitaria.

Si tratta di un processo collettivo che educa alla responsabilità: per essere attivo nel processo di apprendimento non l’alunno non può eseguire passivamente i compiti imposti dall’insegnante, ma deve prendersi la responsabilità delle opinioni che esprime e metterle a confronto con quelle degli altri componenti del gruppo, mediando, argomentando e gestendo la conseguenza che deriva dalle sue azioni.

 Il ruolo del corpo

Il corpo nella scuola è spesso poco considerato e relegato alle attività ricreative e motorie. Come osserva Marcel Jousse, “i nostri studi libreschi ci tengono fermi sui meccanismi della parola scritta e non sui gesti incisivi del reale. (…) Si è detto troppo ai giovani: “Tolle, lege”. Io dico loro: “Prendete unicamente il reale e sperimentatelo. Dopo, attraverso la lettura, confronterete le vostre esperienze con quelle altrui” (Jousse, 1979).

All’interno di un approccio fondato sulla ricerca, anche in base alle riflessioni articolate nei paragrafi precedenti, il corpo riguadagna il ruolo da protagonista che gli spetta, nella vita dei bambini e delle bambine. Si offre come occasione fondamentale e strumento di conoscenza di sé e del mondo.

Fare col corpo può significare fare con le mani, svelandoci come questa sia la via privilegiata che consente di accendere il pensiero: “ il miracolo che risiede nelle nostre mani è infatti quello di un fare che presiede e promuove un pensare”(Carchella, Chinzari, 2019) Facendo con le mani, scopriamo che “la mano è lo strumento espressivo dell’umana intelligenza: essa è l’organo della mente” (Montessori, 2017). Fare con le mani permette anche di visualizzare concetti astratti. Fare con le mani, insieme all’altro, permette di entrare nella sua mente: è il farsi di un pensiero costruito insieme. Infine fare con le mani apre a nuove domande e nutre la conversazione sia tra i bambini che lavorano insieme sia nel gruppo più grande.

Si può fare ricerca, senza usare il corpo? Muovere il corpo risveglia le emozioni e porta al sorriso, per questo la ricerca che parte dal corpo si rivela più appassionante, coinvolgente ed inclusiva, proprio perché mette i bambini a contatto con i materiali offerti dal mondo, in un atteggiamento esplorativo. Anche le Indicazioni nazionali invitano a “favorire l’esplorazione e la scoperta, al fine di promuovere il gusto per la ricerca di nuove conoscenze”. Si tratta quindi di coinvolgere i bambini in un gioco molto serio, in cui tutti possano mettersi alla prova e scoprire in cosa sono bravi, conoscendo così meglio se stessi, mentre conoscono il mondo. (Lorenzoni, 2014)

Il corpo è anche una possibilità di raccontare e raccontarsi: narra se stesso mediante il linguaggio teatrale, esprimendosi, danzando, cantando, dando voce ai pensieri. Attraverso il gesto, la ricerca si arricchisce di nuove esplorazioni intorno all’oggetto, mentre il corpo, grazie all’esperienza teatrale, trova un’occasione di restituzione di ciò che ha scoperto nella ricerca, rendendo visibili quei nodi concettuali che sono stati esplorati. In questo modo i saperi non rimangono  conoscenze preconfezionate e predigerite sulle pagine dei libri di testo, ma vengono costruiti e negoziati dai bambini, “diventano soggetti vivi e bollenti” (Antonacci, 2012a), come i loro corpi.

Il territorio 

Poiché uno dei punti più importanti di una ricerca è l’esplorazione della materia, offerta dal mondo, il territorio si presenta come una dimensione fondamentale, nelle sue molteplici accezioni.

Possiamo intendere il territorio della ricerca come l’ambiente fisico, in cui i bambini possono trovarsi, con i suoi elementi caratterizzanti, sia naturali che antropici. Ecco che il territorio diventa luogo di esplorazione, di indagine e scoperta, offrendo ai bambini i suoi materiali e le sue forme, i suoi percorsi, esistenti o da immaginare. Il territorio invita il bambino ad esplorare la Terra ed il cielo che, come ci ricorda Franco Lorenzoni, “è uno dei grandi territori dimenticati dall’uomo” (Lorenzoni, 2009).

L’esplorazione del territorio è occasione di ricerca e narrazione della propria identità culturale, ma è anche un viaggio per incontrare altri popoli e culture in cui si scoprono differenze e similitudini, per questo, come suggeriscono le Indicazioni Nazionali, “alla scuola spetta il compito di fornire supporti adeguati affinché ogni persona sviluppi un’identità consapevole e aperta.” 

Inoltre ricercare nel, e attraverso, il territorio, in questo momento storico, è più che mai rilevante, in quanto si connette con la possibilità di sensibilizzare ed educare le nuove generazioni ad una consapevolezza ecologica, alla sostenibilità, alla difesa e alla conservazione dell’equilibrio ambientale.

Il territorio poi può essere inteso come il contesto di lavoro in cui avviene la ricerca, in una dinamica di alternanza tra dentro e fuori, spazi chiusi, spazi aperti. Anche su questo aspetto, le Indicazioni Nazionali invitano ad una progettazione che possa “essere attivata sia nei diversi spazi e occasioni interni alla scuola sia valorizzando il territorio come risorsa per l’apprendimento”, sottolineando come “l’acquisizione dei saperi richiede un uso flessibile degli spazi”. Le caratteristiche di questi spazi e gli elementi, in essi ospitati, orienteranno i momenti della ricerca che, in uno o nell’altro luogo, potranno trovare la collocazione più adatta. Come suggerisce Loris Malaguzzi (Malaguzzi, 2010) grande cura e attenzione andrà riservata alla scelta e all’allestimento degli spazi: ci saranno fasi in cui la ricerca necessiterà di luoghi all’aperto, per esplorazioni, osservazioni o ricerca di materiali; altri momenti in cui uno spazio più delimitato accoglierà le conversazioni del gruppo; in altre attività, invece, potrà servire il luogo maggiormente strutturato della biblioteca di classe e delle risorse multimediali, utile ad offrire testi monografici e materiali digitali per la fase più riflessiva. 

Gli spazi della restituzione poi potranno essere i più variegati, a seconda delle forme che essa assumerà, trovando il proprio territorio di espressione in un teatro, una sala, un cortile o un giardino.

Tutti questi aspetti, concernenti il territorio nella ricerca, vanno a caratterizzare una scuola che possa essere non “una garbata forma di carcerazione”, come purtroppo spesso avviene, ma una scuola che desideri e voglia offrirsi ai ragazzi e agli insegnanti come “un portale verso un mondo più vasto” (Louv, 2005), dove una ricerca apra a nuove esplorazioni e a nuove altre ricerche così che “alla fine di tutto il nostro andare, ritorneremo al punto di partenza, e conosceremo quel luogo per la prima volta” (Eliot, 1943).

Socializzazione del sapere

Il coinvolgimento dei ragazzi e delle ragazze non si può esaurire nella crescente consapevolezza dei progressi dei propri apprendimenti, è importante che essi facciano propri anche il senso e le finalità del loro percorso di ricerca.

È significativo riservare un momento finale alla socializzazione delle conoscenze che restituisca il senso del lavoro fatto: un compito autentico (Wiggins, 1998) che allarghi lo sguardo all’esterno, una finalizzazione esplicita del lavoro che liberi “l’attività cognitiva dal suo carattere implicito, rendendola più pubblica, negoziabile e solidale. Al tempo stesso la rende più accessibile alla successiva riflessione e metacognizione” (Bruner, 1997).

Si può trattare della risoluzione del problema da cui la ricerca è partita. Può essere una disseminazione dei contenuti e dei valori appresi verso la comunità scolastica, le famiglie o il pubblico esterno, tramite una mostra, una conferenza, uno spettacolo teatrale. Si può trattare di un’azione di cittadinanza attiva che modifichi il contesto di vita, più o meno allargato, come la riprogettazione di spazi della scuola o del quartiere, oppure una manifestazione o flash mob, o anche un articolo pubblicato sul giornale di quartiere.

Realizzare un progetto concreto, complesso e collettivo conduce i ragazzi a valutare continuamente il lavoro al fine di migliorarlo: tutti ci tengono a che il prodotto sia il migliore possibile!

Naturalmente, come sottolineato precedentemente, la realizzazione di un artefatto culturale è l’obiettivo per il gruppo; sta all’insegnante monitorare costantemente l’organizzazione del lavoro cooperativo in modo da favorire l’apprendimento situato (Lave, Wenger, 2006) ed evitare il rischio di una “deriva produttivistica” che assegni sistematicamente un compito a chi è più competente in quel ruolo, in modo da favorire la costruzione di nuove competenze di ciascuno/a e che contemporaneamente tutti e tutte possano contribuire al lavoro collettivo (Maccario, 2006).

La ricerca e il potenziamento-consolidamento

Nell’approccio didattico della ricerca sorge l’esigenza di determinare una relazione tra il lavoro finalizzato alla scoperta e alla graduale costruzione di nuovi saperi da parte dei bambini e la pratica di esercizi utili a consolidare e rafforzare le abilità via via conquistate.

Per favorire un’assimilazione sicura, duratura e pienamente fruibile dei nuovi saperi possono infatti dimostrarsi utili e necessarie ulteriori riflessioni e manipolazioni delle abilità e conoscenze, per far sì che si integrino nel sistema di conoscenze di ogni alunno.

Non necessariamente le attività di consolidamento devono limitarsi all’esecuzione di esercizi ripetitivi, somministrati dall’insegnante e sottoposti al controllo dello stesso; tali pratiche si andrebbero a contrapporre al motivante lavoro di ricerca attiva svolto dai bambini in fase di scoperta e costruzione delle proprie conoscenze, ai loro stessi occhi apparirebbe come una contraddizione e come una dissonanza per le loro stesse menti. 

Per essere efficaci e soprattutto ricche di senso, anche le attività di consolidamento dovrebbero essere vissute dai bambini come pratiche che si pongono in continuità con le modalità di scoperta, partecipazione e creazione attiva dei saperi, che sono proprie della didattica della ricerca.

Esprimere il sé, trovare il senso, essere attivi in prima persona, stare in relazione con gli altri, sono gli elementi cardine che consentono l’incontro con la conoscenza ed il sapere, nella didattica della ricerca, e possono esserlo anche nelle attività di “semplice” esercizio. 

Ricerca ed “esercizio” possono essere due ambiti in connessione e reciproco dialogo che si rispecchiano l’uno nell’altro; le strategie e le metodologie della ricerca possono influenzare anche il modo in cui si propongono le attività di consolidamento degli apprendimenti attraverso l’esercizio e fanno di quest’ultimo uno strumento: autoprodotto e autocorrettivo, ludico e motivante, non competitivo ma che stimola la collaborazione, che rende i bambini direttamente partecipi anche alla sua creazione e non solo all’esecuzione, che dà rilevanza alla centralità del corpo e alla manipolazione, che mette a disposizione materiali diversi e attraenti.

Certo, non tutto a scuola può essere affrontato con la didattica della ricerca. Voler a tutti i costi far rientrare ogni obiettivo dentro un percorso riporta indietro al problema dell’autenticità e del rapporto con le discipline. Ci saranno tante altre attività di laboratorio, di gioco e di consolidamento che saranno affrontate separatamente. Nelle lunghe giornate di scuola ci sarà spazio per gli approfondimenti individuali e di gruppo su altri temi, per la produzione creativa, per la lettura individuale e anche per l’esercizio sui nodi concettuali che i singoli bambini faticano ad interiorizzare.

L’importante è tenere la barra diritta: la scuola è un luogo piacevole in cui si naviga insieme, pienamente consapevoli della rotta da seguire.

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