Cultura della memoria e educazione alla legalità: un’esperienza di educazione civica attraverso la corrispondenza con il testimone

di Maria Cereti

Se è vero che la scuola educa alla vita e la vita entra ogni giorno a scuola attraverso le storie di ognuno e ognuna, allora l’osmosi tra scuola e territorio è fondamentale per tutti e tutte coloro che la scuola fanno e vivono: bambini e bambine, insegnanti, famiglie.

È fondamentale questa osmosi per riuscire a far incontrare le storie di chi il territorio lo abita e lo presidia nella direzione del perseguimento del bene comune e dell’interesse collettivo, che è tutela delle solitudini, degli abbandoni, delle esclusioni, delle fatiche e delle fragilità, e, al pari, lotta ai privilegi, alle violenze, all’abuso, al potere esercitato per sopraffare e controllare, per il tornaconto individuale, ma anche all’ignavia, all’indifferenza, alla paura, all’oppressione, all’ignoranza, alla miseria.

E tutto questo a partire dalla quotidianità, dalla prossimità delle nostre relazioni e nei nostri spazi condivisi, seppur ristretti, limitati, ben sapendo di non essere il centro del mondo, di non rappresentare altro che noi stessi/e, per giunta nell’incertezza del cammino, ma che, analizzati, ci restituiscono la cifra dell’egoismo, dell’avidità, della corruzione, dell’illegalità agite nelle nostre dinamiche apparentemente lontane dal fenomeno mafioso e, al pari, il senso del possibile, la speranza di contrastare e soprattutto di riparare ciò che non funziona, di rappresentare un’alternativa.

Questo dovrebbe fare una scuola civica.

Pertanto, con i bambini e le bambine ho progettato, dando seguito a quanto previsto dalla legge e in occasione della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, questo percorso quinquennale, costruito anno per anno e a piccoli passi, per approdare all’incontro con il testimone e alla scrittura, a gruppi, di lettere a lui dedicate.

Su questo si concentra questo breve contributo.

Il percorso di lavoro ha avuto inizio da subito in classe prima, ponendo lo sguardo su atteggiamenti dei bambini e delle bambine a cui spesso non si presta neppure attenzione, per quanto considerati normali nell’accadere della quotidianità: non salutare la bidella o quando si entra in aula, non rispettare l’ingresso ordinato in mensa, deridere un/a compagno/a per gli occhiali che indossa, per come parla o si atteggia, o per non avere il materiale scolastico alla moda, per la sua condizione famigliare o la sua provenienza, ecc. ecc. e dei quali i bambini e le bambine sono stati invitati a parlare, in momenti spontanei e/o organizzati, confrontandosi ed esponendo, senza forzature, i propri stati d’animo, tentando di individuare rimedi e modalità alternative per esprimere posizioni e opinioni contrastanti, scomode, e facendo anche ricorso all’espressione artistica (musica, teatro, disegni, fumetti…).

In questo approccio è stato fondamentale il ricorso alla lettura quotidiana del calendario civile (date significative: la loro origine, in senso, la storia, …), attivata sempre dalla classe prima e corredata sempre dalla lettura di testi o stralci di testi della biblioteca di classe, o proposti dai bambini e dalle bambine ricercatori e ricercatrici, che sempre si interrogano su ciò che vedono e sentono, anche di straforo, per caso, che necessitano di uno spazio libero in cui esporre domande, angosce, ma anche richiedere comprensione, mettendo a confronto sentimenti e convinzioni.
Da questo insieme di azioni scaturiscono la discussione, il confronto, le domande filosofiche, che richiamano a ragionamenti e implicano conseguenze non semplici e semplicistiche ma mettono in crisi e sfidano il qualunquismo, riattivano il dubbio, aprono a nuovi interrogativi, più che a facili risposte, dei quali tengo nota in un quadernone di classe o attraverso la registrazione che poi trascrivo e che utilizzo con i bambini e le bambine per riprendere il dialogo, per tirare le fila del ragionamento e pervenire a un assunto collettivo o per ripartire alla ricerca di altre domande.

Fondamentale è stata la lettura di biografie di persone note ma anche, e soprattutto di persone comuni: in classe terza, ad esempio i/le bambini/e hanno scelto nel lungo elenco delle vittime innocenti di mafia i nomi di alcune persone delle quali hanno recuperato, attraverso ricerche, la vita e hanno realizzato delle schede biografiche, corredate da disegni e dediche, che hanno poi appeso ai rami degli alberi del giardino della scuola.

Il passaggio per approdare al lavoro svolto in classe 5^ è stato il ricorso alla collaborazione con Associazioni operative nel campo della cittadinanza attiva; connettere mondo dell’associazionismo e scuola risulta una scelta inalienabile quando si costruiscono percorsi di educazione civica autentici e vitali, al fine di conoscere, comprendere, fare memoria ed agire con consapevolezza e coraggio nella comunità, grazie alla testimonianza di altri e altre che si sono misurati con un fenomeno, in questo caso quello mafioso.

Parlare di mafia non è semplice per tanti motivi, non ultimo l’opposizione più o meno velata da parte di talune famiglie, taluni/e colleghi/e, ma non si può omettere di farlo, specie se a scuola si legge giornalmente il quotidiano, se si abita il territorio allargando lo sguardo, se si ascoltano i racconti degli amici di carne e di carta, se cioè la vita appunto entra in classe con tutta la forza e la “normalità” che la contraddistingue.

Tra le tante Associazioni del territorio, per indagare il fenomeno mafioso da cui anche la nostra regione non è esente, è stata individuata Libera, attiva con operatori e operatrici formati anche per parlare a scuola di mafia e legalità. Libera ha offerto ai ragazzi e alle ragazze l’opportunità di incontrare il fenomeno mafioso a partire prima dalla lettura della quotidianità: povertà, abbandono scolastico, retaggio culturale, analisi di alcune eventi storici, poi portando all’attenzione storie di bambine e bambini in carne ed ossa, vittime innocenti di soprusi e prepotenze subiti a causa di una certa appartenenza ma anche per puro caso, mettendo così a fuoco, lucidamente e con una certa durezza, tanti e differenti episodi che non potevano essere liquidati con paradigmi quali “buoni vs cattivi”, “giusto vs sbagliato” ma che dovevano essere necessariamente problematizzati.

Uscire dalle due ore di laboratorio settimanale con delle certezze non è stato semplice, quasi mai è stato scontato, perché dalle parole dell’operatrice, dalle letture e dal confronto ciò che emergeva era la consapevolezza che ogni scelta comporta un costo o un rischio, che è necessario ponderare se correre o meno, e quali rischi correre, ma emergevano anche le conseguenze individuali e collettive, come ad esempio la solitudine, la convivenza con la rinuncia di una vita “normale”, in casi estremi la morte: solo per se stessi/e, per i propri famigliari, …?

Siamo infine approdati/e all’incontro, in un caldo pomeriggio di maggio, con il testimone: Donato Ungaro, che è venuto a trovarci a scuola e con il quale abbiamo conversato in giardino, con blocco degli appunti alla mano e con il cuore sospeso, perché avevamo raccolto tramite Enza, l’esperta di Libera, alcuni passaggi della sua vicenda. Donato era passato dall’essere vigile urbano di un piccolo e apparentemente tranquillo paesino emiliano a uomo che aveva perso casa e lavoro, aveva dovuto affrontare minacce e traversie legali, processi, da cui era uscito sempre riconosciuto nella bontà della sua denuncia ma senza ricavarne soddisfazione: essere cioè ripristinato nel suo incarico. Attualmente, svolgeva il lavoro di autista di autobus, mantenendo tuttavia la passione per la scrittura e il giornalismo.

In questo pomeriggio, l’ascolto di chi con la mafia ha avuto a che fare e ha fatto della scelta di opporsi alla prepotenza e al sopruso il fulcro della propria esistenza, senza scendere a compromessi e pagando un prezzo altissimo, è nato il desiderio di scrivere delle lettere, di utilizzare la pratica della corrispondenza per mantenere vivo il legame che era iniziato e che aveva indotto i bambini e le bambine a percepire che il prezzo più alto pagato da Donato è stato a lungo la solitudine. Non la perdita del lavoro, non il trasferimento in un’altra città, non la paura che qualcosa di male gli potesse accadere! No, perché tutto questo lui lo aveva messo in conto e aveva deciso che valeva la pena soffrirlo pur di continuare a guardare i propri figli in faccia e non abbassare lo sguardo. Ma la solitudine no, quella non l’aveva immaginata così profonda: solitudine indotta dalle Istituzioni, in alcuni momenti ma, soprattutto, dalla gente comune, da tutti/e quelli/e che non sanno o non vogliono sapere, che non prendono posizione, o peggio ammiccano, che negano, che minimizzano, ignorano, dalla schiera di ignavi/e che tanta parte hanno nella sopravvivenza indiretta delle mafie.

Da ciò è scaturita un’esigenza delicata quanto irreprimibile: scrivere, dopo l’incontro, non solo pensieri ed emozioni personali ma, soprattutto, scrivere lettere per tenere vivo un legame, per stare nella fatica di mettere ordine fra pensieri ed emozioni e trasformarli in parole per lenire quella solitudine, per restituirne il senso e, al pari, interromperla. E così con la pubblicazione dei “Pensieri per Donato: lettere degli alunni e delle alunne di una quinta al giornalista Ungaro” si è concluso il percorso dedicato alla cultura della memoria e della legalità, attività di corrispondenza per dar seguito ad un’esperienza di educazione civica nata piano piano dal basso, che ha gettato radici nella mente e nel cuore dei bambini e delle bambine, non più meri conoscitori di eventi o spettatori di riti e cerimonie ma persone capaci nella loro dimensione individuale e collettiva di iniziare a riconoscere alcuni segni della cultura dell’illegalità, trovando ispirazione, forza e fiducia, consapevolezza e senso del possibile a orientare le loro scelte, grandi o piccole, presenti e future.

Link di accesso ai materiali

http://www.donatoungaro.it/2019/07/semiotica-mafiosa-solitudine.html

Bibliografia Adozione Alternativa
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AA.VV., Sogni di libertà: in parole e immagini, Gallucci, 2015
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Stefano Bordiglioni, Il principe e la costituzione, Emme 2009
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Fabrizio Gatti, Viki che voleva andare a scuola, Rizzoli, 2015
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Agnès de Lestrade, Valeria Docampo, La grande fabbrica delle parole, Terre di Mezzo, 2011
Luisa Mattia, La scelta: storia di due fratelli, Sinnos, 2005
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Antonio Nicaso, La mafia : spiegata ai ragazzi, Mondadori, 2017
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Marco Rizzo, Peppino Impastato: un giullare contro la mafia, Beccogiallo, 2016
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Anna Sarfatti, I bambini non vogliono il pizzo: la scuola ‘Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Mondadori, 2012
Anna Sarfatti, Diversi in versi, Giunti, 2015
Anna Sarfatti, Se vuoi la pace, Giunti, 2016
Amin Hassanzadeh Sharif, L’albero azzurro, Kite, 2015
Catarina Sobral, Cimpa: la parola misteriosa, La Nuova Frontiera, 2014
Annalisa Strada, Io, Emanuela agente della scorta di Paolo Borsellino, Einaudi, 2016
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